Ieri è stata diffusa una nota del presidente dell’Autorità Garante per la protezione dei dati personali:
“Non possiamo che esprimere forte preoccupazione per la violazione subita da Uber, tardivamente denunciata dalla società americana. Abbiamo aperto un’istruttoria e stiamo raccogliendo tutti gli elementi utili per valutare la portata del data breach e le azioni da intraprendere a tutela degli eventuali cittadini italiani coinvolti.
Quello che certo colpisce, in una multinazionale digitale come Uber, è l’evidente insufficienza di adeguate misure di sicurezza a protezione dei dati e quello che sconcerta è la scarsa trasparenza nei confronti degli utenti sulla quale indagheremo”.
La notizia riguarda la violazione dei dati personali che Uber avrebbe confermato di avere subito l’anno scorso, riguardante i dati personali di 50 milioni di clienti e 7 milioni di autisti. È stata data da Bloomberg dal Wall Street Journal ed è così rimbalzata anche in Italia dove tra le tante notizie diffuse (il Post ad esempio) si segnala per completezza e intelligenza delle domande, ovviamente, quello pubblicato su La Stampa da Carola Frediani che oltre che riportare la notizia esprime qualche dubbio e perplessità e fa delle domande che, al momento, rimangono senza risposta.
È importante ricordare che, a partire dal 25 maggio 2018, entrando in vigore il Regolamento UE, troverà anche piena applicazione l’art. 33 del Regolamento che impone la comunicazione all’Autorità di controllo competente, a meno che, la violazione sia improbabile, “che la violazione dei dati personali presenti un rischio per i diritti e le libertà delle persone fisiche” (dal comma 1, dell’art. 33).
In questo caso non sappiamo con precisione quali dati siano stati oggetto della violazione, ma pare ci siano nomi, cognomi, e-mail e numeri di telefono, ovviamente associati al dato che sono tutti clienti o autisti di Uber. In questi casi è quindi possibile ipotizzare degli attacchi mirati ed è quindi difficile fare valere l’esenzione citata.